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L’attualità intramontabile di Joseph Roth



"La cripta dei cappuccini”, il celebre romanzo di Joseph Roth che dice una parola definitiva sulla fine dell’Impero Asburgico, diventa ora uno spettacolo teatrale nell’ambito del percorso che porterà a “Go! 2025, Nova Gorica e Gorizia Capitale Europea della Cultura”. Il progetto è curato dall’Associazione Mittelfest su commissione della Regione Friuli Venezia Giulia e realizzato in coproduzione con il teatro nazionale di Nova Gorica, per la regia di Giacomo Pedini.

L’occasione è propizia per rileggere il grande autore austriaco, nato a Brody, Galizia, nei pressi dell’odierna Leopoli in Ucraina. Un autore pubblicato anche in Italia da diversi editori, e che ebbe un momento di grande popolarità negli anni ’80, quando a lanciarlo fu Adelphi (qualcuno ricorderà che da un suo racconto lungo, “La leggenda del santo bevitore”, venne anche tratto un film).

L’attualità di Roth oggi è ancora forte, considerata la fase contraddittoria che l’Europa sta attraversando. In effetti le analogie fra l’Unione Europea e il grande impero multinazionale che aveva Vienna come epicentro, spazzato via dall’esplosione dei nazionalismi (ma anche dalla volontà di ridefinire le sfere di influenza a livello mondiale, a vantaggio di alcune potenze e a danno di altre) sono abbastanza evidenti. L’Europa odierna è orfana a Ovest del Regno Unito, che con la Brexit è andato per la sua strada. Ad Est preme l’imperialismo russo, con armi fornite anche da Paesi non certo amici dell’Europa e delle democrazie. Mentre al suo interno i conflitti identitari e valoriali, uniti alle poco rosee prospettive economiche, ne minano la coesione.

C’è oggi un nuovo Roth in Europa capace di raccontare tutto questo? Davvero non so (anche se ad esempio un romanzo crepuscolare come “Tasmania” di Paolo Giordano secondo me certe atmosfere un po’ le richiamava).

Roth, di origini ebraiche, giornalista, esule in Francia dopo l’avvento del nazismo, morto a Parigi nel 1939, aveva tante frecce al suo arco. Innanzitutto la scrittura: limpida, accessibile, “orizzontale”, lontana dallo sperimentalismo di tanti autori modernisti di quegli anni. Ne “La cripta dei Cappuccini”, pubblicato nel 1938, la storia narrata (sulla scia di un altro suo celebre romanzo, “La marcia di Radetzky”) è quella di Francesco Ferdinando Trotta, discendente de “l’eroe di Solferino”, un ufficiale che, durante quella battaglia salvò la vita all’imperatore Francesco Giuseppe. Giovane spensierato nella Vienna felix di inizio secolo, quella, di Freud, di Strauss, dei caffè, Trotta sente anche il richiamo delle tante periferie dell’Impero, popolate da una varia umanità, umile e tenace. Catturato sul fronte orientale dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, trasferito in Siberia, vive esperienze tumultuose come quelle che Roth racconta in un altro suo imperdibile romanzo, “Fuga senza fine”.

Al suo ritorno a casa, scopre che la Grande Vienna, con i suoi riti, i suoi orizzonti, la sua monarchia, non esistono più. Trotta cerca di adattarsi alla vita “borghese”, alle attività avviate dalla moglie assieme ad un’amica (che è più di un’amica) nel campo per lui sconosciuto del design. Ma tutto pian piano si dissolve; all’avvento del nazismo cerca rifugio nella cripta dei Cappuccini, dove riposano le spoglie dell’imperatore Francesco Giuseppe, assieme a quelle di un Impero ora scomparso per sempre.

Un’avvertenza: non pensate da questa breve sintesi di trovarvi di fronte un nostalgico o un conservatore. Roth ebbe molte vite, simpatizzò anche per il socialismo (pur tornando dalla Russia profondamente deluso), fu, insomma uno scrittore europeo a tutto tondo, capace di sommare in sé tante delle aspirazioni, e delle contraddizioni, del Vecchio Continente.

 













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